Circola una quantità eccessiva di notizie e informazioni che rende difficile orientarsi. Internet, e soprattutto i social, sono terreno fertile per moltissime bufale a cui spesso è impossibile non credere e che a volte nascondono truffe e manipolazioni.
Oggi l’83,5% degli italiani si informa sul web.
I dati del terzo Rapporto Ital Communications-Censis “Disinformazione e fake news in Italia”.
“Uno degli aspetti più importanti che emerge da questo Rapporto”, ha detto Alberto Barachini, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, “è che gli italiani si stanno rendendo conto del valore delle notizie vere e del disvalore che hanno le fake news. Prima la pandemia seguita dal conflitto russo ucraino ci hanno fatto capire quanto sia fondamentale comunicare notizie in maniera rigorosa e irreprensibile”.
Aumentano, tuttavia, paure e timori di non essere in grado di riconoscere disinformazione e fake news. Il 76,5% degli italiani ritiene infatti che le fake news siano sempre più sofisticate e difficili da scoprire, il 20,2% crede di non avere le competenze per riconoscerle e il 61,1% di averle solo in parte. Più preoccupante è il 29,7% che nega l’esistenza delle bufale e pensa che non si debba parlare di fake news, ma di notizie vere che vengono deliberatamente censurate dai palinsesti che poi le fanno passare come false. Tra i negazionisti delle fake news ci sono in particolare i più anziani e, chi ha un basso livello di scolarizzazione.
Una nuova forma di pandemia
Gli esperti la chiamano Infodemia. Non è un nuovo virus ma ci va vicino: Si tratta della abnorme circolazione di notizie che arrivano al nostro cervello da molte fonti di informazione non tutte degne di fiducia. Siamo quotidianamente sommersi da dati, numeri, immagini e opinioni senza essere in grado di analizzarle con spirito critico, chiedendoci se siano affidabili. “Ce le beviamo” perché ci consolano, ci divertono, ci scandalizzano, ci “assomigliano”, le troviamo nei social dove stanno “i nostri amici”, ci arrivano per sentito dire, rimbalzano anche sui media tradizionali a cui abbiamo imparato a dare fiducia… Ma questa pandemia di notizie a volte solo false, molto spesso truffaldine e interessate, altre volte molto più pericolose e manipolatorie, tese alla disinformazione di massa. Sono una malattia grave della nostra epoca che si nutre dei superpoteri della digitalizzazione, si avvale delle conoscenze dei meccanismi del nostro cervello e gioca in modo subdolo sulle nostre umane debolezze e prevedibilità di comportamento. Insomma se pure i “falsi” nella informazione ci sono da sempre, le bufale on line o Fake News sono un prodotto dell’epoca di Internet e ancor più dei social media e noi tutti non abbiamo ancora sviluppato gli anticorpi mentali per tenerle sotto controllo.
Vere e proprie trappole mentali
Le fake news “funzionano”, perché sono fatte in modo da “convincerci”, anche quando sono palesemente inaccettabili se lette o guardate con un minimo di senso critico e ragionamento logico. Si basano sui nostri pregiudizi culturali, sulla disattenzione con la quale leggiamo senza davvero “leggere”, sulle cose che diamo per scontate, sulle scorciatoie mentali che usiamo per non “pensare”. Insomma le “bufale” sono trappole mentali che ci inducono a tirare conclusioni non ragionate e prendere decisioni errate lasciandoci manipolare.
“L’essere umano non è razionale” scrive Walter Quattrociocchi studioso del fenomeno delle Fake News, “bensì ha una visione del mondo che è emotiva e percettiva”. Con l’avvento del digitale siamo passati da un sistema che prevedeva la mediazione di giornalisti ed esperti (la stampa, la televisione) che per mestiere filtrano e valutano le notizie prima che ci arrivino, a un processo molto più diretto. Oggi siamo spesso soli, senza filtro, davanti a una valanga di informazioni che non sono gerarchizzate, né controllate e che ci arrivano da media diversi non basati su regole giornalistiche. Messe in fila sui social o sulla Rete sembra quasi che tutte le notizie dal gattino nella bottiglia alla guerra in Ucraina, abbiano lo stesso “valore” e a noi è richiesto “metterle in pagina” come deve fare il direttore di un giornale, di valutare le fonti come devono fare i giornalisti. Risultato? Siamo troppo pigri per farlo. Il nostro cervello è costruito in modo di cercare la via più breve e meno stressante: credere a quello che ci fa piacere credere, farci convincere dalla spiegazione più facile, appoggiare quello che credono gli altri, o quello che la nostra esperienza ritiene giusto! Tutte vie maestre per farci prendere per il naso.
I bias cognitivi e le camere dell’eco
Con la diffusione dei social media, ci si aspettava che avendo accesso a molte più informazioni le persone si sarebbero aperte a nuove prospettive e nuovi punti di vista. Ma gli studi e le analisi condotti finora ci dicono l’opposto: davanti a tante fonti di informazione possibili ognuno cerca quella più vicina alla propria visione del mondo. Si tratta di un comportamento noto come confirmation bias. ovvero pregiudizio di conferma.
I pregiudizi sono lo strumento che il nostro cervello usa per evitare di pensare autonomamente (e fare fatica), sono scorciatoie che ci aiutano a stare al mondo senza dover rimettere sempre in discussione le nostre opinioni. Per questo sono tanto nocivi e pericolosi. Li alimentiamo costantemente dando fiducia solo a coloro che la pensano come noi e che ce li confermano.
I social network sono fatti delle fonti che ci siamo scelti, le notizie che ci arrivano loro tramite ci chiudono in quelle che gli esperti chiamano “camere dell’eco” ovvero bolle cognitive entro cui abbiamo accesso solo a informazioni che ci confermano le nostre stesse idee e non abbiamo contatto con ciò che invece le potrebbe metterle in crisi.
Per chi algoritmi di internet, per i manipolatori di professione diventa facilissimo farci “bere” tutte le bugie che vogliono basta che siano in linea con i pregiudizi insiti nella nostra piccola bolla di auto-conferma.
Non solo: vivere dentro una bolla porta alla polarizzazione, all’idea del complotto esterno, al fanatismo.
Ma a chi giovano le bufale?
Le bufale in Rete non sono tutte uguali. Alcune sono scherzi di dubbio gusto, altre tendono a far reagire il lettore (mettere un like, andare sul sito, lasciare dati) e in questo modo a far guadagnare i siti di riferimento che acquisiscono contatti e quindi notorietà e in definitiva soldi). Altre sono vere e proprie truffe che ci estorcono denaro o informazioni, altre ancora sono veri strumenti di disinformazione politica o di manipolazione. Tutte le bufale online funzionano tuttavia allo stesso modo. Vogliono ottenere una vasta diffusione quindi fanno appello ai sentimenti forti e primordiali (compassione, paura, orgoglio, rabbia, indignazione, odio, tenerezza). Toccano argomenti “forti” come la politica, i soldi, il sesso, la religione, la salute, il razzismo, l’omofobia e mettono a nudo convinzioni personali profonde, ben radicate, passionali.
Quello che importa infatti è generare una reazione, possibilmente forte, violenta, istintiva e irrazionale. L’effetto a cui mira ogni autore di una bufala è quello di toccare un nervo scoperto grazie a un titolo efficace e un’immagine di forte impatto e indurci a reagire commentando, condividendo, diffondendo la bufala e aumentandone l’impatto. Creando centri di opinione, movimenti di odio, macchine del fango, apparenze politiche, frange estremiste. Con effetti a volte devastanti.
L’uso di queste tecniche è sbarcato in politica con la campagna di Trump e di lì a poco la campagna del Brexit. Nel 2015, la compagnia inglese Cambridge Analytica acquisì i dati di 50 milioni di utenti Facebook. Una volta in possesso dei profili, l’azienda ha acquistato spazi pubblicitari su Facebook per poi inviare specifici messaggi politici e false notizie a diverse categorie di persone individuate tramite i profili. I social media ci danno un’illusione di partecipazione in uno spazio pubblico ed invece ci rinchiudono in spazi autoreferenziali dove siamo facili prede dei costruttori di bufale. Questa è forse la minaccia maggiore per la democrazia. Tutti coloro che per calcolo elettorale si rivolgono alla fetta della popolazione più debole culturalmente ed economicamente, possono approfittarne per orientarne le scelte. Le nuove tecnologie ci hanno convinto di averci regalato strumenti di libera espressione e di grande democrazia ma in realtà attraverso quegli stessi strumenti sa come controllarci e orientarci. Almeno fin tanto che glielo lasciamo fare.
Nicoletta Salvatori